Un Mistero che Sfida la Scienza da Secoli


Per secoli, la natura della coscienza è rimasta uno dei misteri più ostinati della scienza. I neuroscienziati hanno mappato i circuiti cerebrali, i fisici hanno sondato i vuoti quantistici, e i filosofi hanno discusso se l’esperienza soggettiva possa davvero essere spiegata unicamente attraverso processi materiali. Un recente articolo peer-review pubblicato su AIP Advances introduce ora un’ipotesi audace, suggerendo che la coscienza non sia affatto un sottoprodotto del cervello, ma un campo universale che sostiene la struttura stessa della realtà.



L’Audace Ipotesi di Maria Strømme


Lo studio, firmato dalla professoressa di nanotecnologie dell’Università di Uppsala, Dr. Maria Strømme, propone che la coscienza operi come un campo fisico fondamentale — uno che esisteva prima del Big Bang, che ha seminato la formazione dello spazio-tempo e che continua oggi a plasmare l’emergere della consapevolezza individuale. La teoria mira a colmare l’antica frattura tra la fisica quantistica e le tradizioni filosofiche non-duali, che considerano la coscienza come la base stessa della realtà. Il modello della Dr. Strømme di una coscienza universale presenta un quadro concettualmente audace e tecnicamente dettagliato in cui la coscienza funziona come un campo universale, capace di differenziarsi nell’universo osservabile — inclusa la mente individuale — attraverso meccanismi analoghi alla rottura di simmetria, alle fluttuazioni quantistiche e ai processi di selezione di stato noti ai fisici. È, per usare un eufemismo, una deviazione drastica rispetto alla neuroscienza mainstream.